I monti Lattari

La valle delle Ferriere ed il Sentiero degli Dei


“Dal colle di Cadibona, in Liguria, e lo stretto di Messina si stende una lunga catena montuosa chiamata Appennini …”. Credo sia patrimonio delle nostre memorie questo nostalgico ritornello dei tempi delle prime scuole, non potevamo immaginare che quel migliaio e mezzo di chilometri di “giovani” rilievi che dividevano i due mari, spina dorsale della nostra penisola, oggi gioia e dolore della nostra quotidianità, autentico tallone d’Achille del nostro territorio visti i recenti terremoti, diventasse la palestra delle nostre passioni. Chi di noi avrebbe detto a quel tempo che su quella lunga dorsale avremmo un giorno compiuto le nostre scorribande e speso le ore più belle delle nostre giornate di svago? Li abbiamo vissuti, li sogniamo continuamente, ci ritorniamo, ora sui monti a noi più cari cambiando magari linea di salita, ora su cime e pieghe minori o sconosciute oppure alla ricerca di quelle più alte dove è possibile avere i profili azzurri dei due mari per orizzonte. Quando parliamo di Appennini però non intendiamo solo le grandi montagne, dei 14 gruppi montuosi che si elevano oltre i 2000 metri e su cui abbiamo concentrato molte delle nostre attenzioni; gli Appennini sono molto altro, sono contrasti, sono suggestioni esaltanti, sono albe sul mare vissute dalle sue creste e sono orizzonti azzurri, gli stessi che dalle cime più alte ed in certe condizioni diventano l’Est e l’Ovest dei nostri confini, sono dolcezza del paesaggio alle quote più basse. E’ impresa impossibile conoscerli tutti, ogni tanto riusciamo ad aggiungere tasselli che mancano allontanandoci dalle nostre zone creando mini vacanze che puntualmente forniscono l’opportunità per salire qualche pezzo di Appennino nuovo e la penisola sorrentina, i monti Lattari per essere più precisi mi e ci hanno dato questa opportunità in occasione del ponte del 25 Aprile, ci siamo concessi una breve vacanza è l’abbiamo fatta diventare occasione di salire un pezzo nuovo di Appennino. Vi racconto due piccole escursioni in un territorio da favola, dove c’è sembrato di camminare sospesi a metà tra mare e cielo. Abbiamo visitato la penisola Sorrentina, abbiamo percorso due sentieri dei monti Lattari e mi sembra bello andare a proporli a chi pensa che se ne possa fare a meno. Intanto due informazioni sui monti Lattari; questi “bassi” monti sono una piccola dorsale lunga poco più di trenta chilometri e larga non più di sei che culmina nei 1444 metri del monte San Michele, in sostanza un prolungamento dei monti Picentini che termina nei pressi di Sorrento; montagne basse quindi, il nome deriva dal latino “lactaris”, il buon latte prodotto dalle capre e dalle mucche che pascolano sui difficili pendi di queste montagne; la zona più famosa, forse la più bella, è quella meridionale orientale (la costiera amalfitana), dove i modesti picchi precipitano verso il mare formando profonde forre e creando falesie ardite e angoli suggestivi. Tre giorni avevamo a disposizione per il ponte del 25 Aprile e volevamo farci entrare un paio di escursioni con una giornata di solo turismo da consumare nei paesini della costiera. Arriviamo direttamente da Aprilia a fine mattinata, prendiamo alloggio a Positano, i tempi sono stretti, posiamo i bagagli, adeguiamo l’abbigliamento all’escursione che abbiamo in programma, il tempo di raccogliere un minimo di informazioni logistiche che siamo già per le strade del paese, dallo zaino spuntano i bastoncini e vi assicuro che non sono in contrasto col mare che spicca solo settanta metri più in basso, siamo solo due di tanti che invece di scegliere la spiaggia preferiscono gli scarponi e lo zaino in spalla. In costiera ci si muove con i bus, non sono frequentissimi, ci si porta alla fermata e si prendono i costumi partenopei, si aspetta. La coincidenza vuole che di fronte alla fermata ci sia una trattoria frequentata dai locali, forse prima del passaggio del bus c’è il tempo per rifocillarsi e se poi nel frattempo il bus passa… pazienza prenderemo il successivo; ci scappa una pizza che dire buona è poco, inizia bene questa vacanza. Il bus nel frattempo non è passato, ci riportiamo alla fermata e riprende l’attesa, capiamo subito che da queste parti l’orologio è un accessorio del tutto inutile. Fermi sul muretto le auto e i tanti pulman turistici ci passano a pochi centimetri, ma tutto è calcolato, anche gli incroci al millimetro, è tutto uno “iamme va” un “mo mo” una confusione che tale è solo all’apparenza, intanto il bus di linea continua a non passare. Quando arriva è così già stracarico che nemmeno si ferma, lo fa una ventina di metri più avanti, il che non è un deterrente per nessuno se non per qualche straniero che tarda a prendere il ritmo del vivere locale. Zaino in mano, una spinta qua ed una là riusciamo a salire, zippati come in una scatola di sardine; confusione, chi si lamenta e chi ride, nessuno drammatizza e si riparte, direi anzi che … ciack inizia il film, il divertimento. La strada è tortuosa, ogni curva si è buttati da una parte e dall’altra, chiaro non c’è il rischio di cadere tanto siamo stetti. La navetta, quasi più larga della strada, fila veloce incurante del traffico contrario e della strada che qualche volta non basta nemmeno al doppio transito; la strada è tortuosa, segue i fianchi delle montagne, da una parte le sfiora e dall’altra no, dall’altra è sospesa nel vuoto, sotto c’è il mare ed il mare è anche sessanta cento metri più giù, una vertigine insomma. A renderci sicuri un muretto alto settanta centimetri che Dio solo sa se regge in caso di urto. Tra frenate improvvise, manovre, retromarce, incroci al limite della fisica, viste pazzesche di scorci da sogno e qualche attimo di ansia in cui ci si rende conto di stare in mano all’autista, Amalfi si avvicina. Ad un certo punto ho anche pensato che non ci saremmo mai arrivati, la navetta nell’imboccare una galleria in curva incontra un bus dalla parte opposta, o l’uno o l’altro; giuro ho pensato nessuno dei due tanto era stretto qual pezzo di strada ma nessuno ha panicato; un po' di manovre, l’autista della navetta di fronte che scende e si mette a dirigere il traffico, tutti indietro alla ricerca di un tratto di strada più largo; non vi dico i commenti a bordo!!! Una retromarcia di una cinquantina di metri a sfiorare muretto a bordo strada e strapiombo a lato, il blu del mare era intenso, bellissimo, solo che era anche inquietante in quell’occasione tanto era verticale sotto di noi. Abbiamo tutti partecipato e tutti tifato per il nostro autista che non si è scomposto di un niente, manovre di qua un po' di là, ancora in dietro, un po' avanti e quello che sembrava impossibile avviene, le navette sfilano, gli autisti si salutano tranquilli come se avessero preso un caffè insieme e riprendiamo per Amalfi. Ero divertito, incredulo, folgorato da quello che se solo lo avessi pensato a casa non mi sarei mai mosso, era pazzesco tutto, era bastato farsi prendere dai costumi del posto, sentire quell’inconfondibile slang locale che ti trascina e la vacanza si stava già plasmando sulla mia pelle. In fondo cosa importava ritardare, avevo capito che tutto funzionava così e funzionava davvero, voleva dire che in ogni caso nulla avrebbe impedito l’escursione ed il ritorno al B&B. L’incognita era solo quando, con che tempi ma eravamo in vacanza, era bello così. Quando, dopo svariati momenti di delirio collettivo e di sfide alla fisica sui tornanti della costiera, arriviamo ad Amalfi mi sono sentito così tanta adrenalina in corpo che non c’era nulla che mi avrebbe potuto fermare. Più bello di un parco giochi, più adrenalinico di una montagna russa, più divertente di un film, culturalmente arricchente, socialmente interessante insomma… se non pensi che sono quasi le tre del pomeriggio e devi ancora iniziare la breve escursione tutto è stato fighissimo.


LE FERRIERE


Amalfi oltre che essere deliziosa è piccolina, l’imbocco per il sentiero della valle dei Mulini e delle Ferriere non si tarda a capire dove sia; si può anche non raccogliere informazioni, già al porto una serie di cartelli turistici ti ci accompagnano per mano. Si entra nella piazza principale del paese, quella dove insiste la splendida scalinata e facciata del duomo, si oltrepassa e si continua sulla strada principale, una specie di corso dove affacciano negozi di ogni genere oltre panni stesi da tutte le parti. Quando la festosità della cittadina inizia a svanire e la strada si stinge e si infila nella valle sempre più stretta, l’atmosfera cambia, del mare non c’è più sensazione se non nell’aria profumata, le falesie scolpite dalla vegetazione diventano l’orizzonte; seguiamo i cartelli che indicano Le Ferriere fin tanto che non prendiamo una scalinata. Il paese continua a sfilare in salita attorno alle scale, qui l’azione dell’uomo che ha conquistato ogni centimetro possibile alla montagna è evidente. Le abitazioni sono arrampicate, una accanto all’altra ai bordi della scalinata, sopra e sotto solo terrazzamenti coltivati, in basso limoni, in alto viti, falesie a destra e sinistra chiudono gli orizzonti mentre in basso, dove la “V” della valle è davvero molto stretta si accavallano piccole abitazioni ed iniziano a sfilare le cartiere. Si perché la valle delle Ferriere in verità è composta da due ambienti, il primo tratto prende il nome di valle delle Cartiere, il secondo, quello boscoso che si infila nelle viscere della montagna è la vera e propria valle delle Ferriere. La storia riporta tutto ai tempi della Repubblica Marinara, quando Amalfi regnava sui mari e contendeva a Pisa e Genova il potere economico sul Tirreno. La valle alle spalle di Amalfi solcata dal torrente Gravone era relativamente ricca di ferro; in quei tempi, siamo intorno al 1200, il torrente aveva una portata d’acqua molto rilevante, sorsero così circa una quindicina di stabilimenti per la lavorazione del ferro: chiodi, giunti, bulloni, accessori di ogni genere per la costruzione delle navi della repubblica marinara e buoni per il commercio verso altre città. Quando le scarse risorse ferrose terminarono gli amalfitani non si persero d’animo, la materia grezza veniva trasportata in loco dalla non lontana isola d’Elba, l’industria poteva continuare. Oggi quelle industrie sono ancora lì, ruderi più o meno cadenti, intrappolate da una vegetazione invadente e rigogliosa, monumenti silenziosi che testimoniano la storia di un popolo, che amoreggiano ancora con il torrente Gravone oggi ridotto a poco più di un rigagnolo. Il paese di Amalfi si defila sulle scalinate che salgono a mezza costa, le abitazioni si diradano e aumentano le terrazze strappate alla montagna coltivate a limoni; il paesaggio si fa tipico, unico, ripide falesie contengono terrazzamenti intensi, il letto della valle colma di piccole abitazioni e delle ultime cartiere strappate al passaggio del tempo, oggi ormai monumenti in via di restauro, il letto del torrente non si vede e non si sente, a due passi da uno dei tempi del turismo della costiera amalfitana ci stiamo perdendo in un luogo senza tempo e senza connotati. “Fore Porta” sancisce la fine del paese, limoni e peperoncini appesi ad un sostegno sono illuminati dal sole e restituiscono tutta la potenza, i colori ed il calore del Sud, invitano ad entrare in quello che è un avamposto di una azienda agrituristica biologica; prodotti della terra esposti in bell’ordine, un locale antico con pochi tavolini da osteria sapientemente e semplicemente arredato inducono ad una pausa, una limonata ed una granita all’arancia sono deliziose quanto la chiacchierata con la figlia dei proprietari che ci racconta con leggerezza la storia di questa valle; ricordo ancora la luce degli occhi di questa ragazza, il sorriso, l’orgoglio di essere esattamente lei in quel posto, giovanissima, al confine del mondo, i venti minuti di strada, anzi di scale, che diventavano trenta al ritorno in salita, e che faceva più volte al giorno per raggiungere il paese nulla erano in confronto al benessere che riceveva dall’essere li. Finiva poco dopo il pezzo di valle che prendeva il nome dalle cartiere ed iniziava quella delle ferriere, iniziava anche il bosco, basso, di roverelle e macchia mediterranea. Ora il tracciato a tratti ampio a tratti meno, a tratti scalinato su roccia e su gradini artificiali, viaggia accanto o poco sopra il torrente Gravone, sfila accanto ai ruderi delle antiche ferriere ed entra lentamente nel buio della valle che si va facendo sempre più forra. Costruzioni antiche, muri che si vanno sgretolando avviluppati dalle radici delle piante rampicanti, il verde del bosco fresco di nuovo, il rumoreggiare dell’acqua che entra ed esce dagli antichi ruderi, emozioni silenziose e affascinanti, il cammino continua per un paio di chilometri avvicendando questi momenti, si respira storia e natura, un connubio intensissimo ed introspettivo. Incrociamo il sentiero che scende da Pontone, un paese sopra Amalfi e si continua per men di due chilometri fino ad arrivare alla riserva integrale delle ferriere. Opere idrauliche, una bella cascata ed un recinto che sancisce il divieto di ingresso confermato da cartelli molto evidenti. Nella riserva integrale è consentito entrare solo con dei permessi, custodisce una preziosa felce relittuale del terziario (circa 70 milioni di anni fa) quando il clima era ancora del tipo sub-tropicale. Si tratta della Woodwardia radicans, felce presente solo in Corsica, in Macedonia, in Grecia e sulle sponde del mar Nero oltre che in Italia in questa gola e in poche zone della Calabria e della Sicilia. Un casottino della forestale fa immaginare la presenza della vigilanza nei periodi di grossa affluenza di pubblico, oggi è vuoto ed il cancello della recinzione è aperto; lo prendiamo come un invito e ci inoltriamo nella gola, superiamo il torrente nei pressi di una bella cascata dopo di che l’ambiente si fa “orrido”, le pareti si stringono, sono intrise di acqua e colme di muschi gocciolanti, il corso d’acqua scorre e lascia appena lo spazio per continuare, gli scarponi finiscono comunque in acqua; il sentiero sale su tornanti ripidi rubati alla rupe, si alzano dal livello del corso d’acqua e l’ambiente si fa buio e scivoloso. Su bordi compaiono i relitti naturalistici, le felci, la Woodwardia radicans che a me che sono al culmine della scala dell’ignoranza sembra una felce vista e rivista tante volte anche nelle forre e nelle gole di casa nostra. L’ambiente è superbo, uno di quelli dove senti la potenza della natura che si adatta e prende il sopravvento su tutto, qui può vivere solo chi ha bisogno di poca luce e molta umidità e a dire il vero non sono poi così tanto poche le specie che ci si adattano. Il sentiero continua a salire, si restringe, si espone sul torrente ormai una ventina di metri più in basso, si insinua nella montagna, scavalca una piccola cascata e si fa estremamente sdrucciolevole; la facciamo finita qui, e perché si andava facendo tardi e perché non ci siamo sentiti adeguatamente attrezzati. Il percorso a ritroso è sulla stessa traccia dell’andata, ci lasciamo andare alla ricerca di angoli suggestivi all’interno dei ruderi, sembra un viaggio nel tempo, lentamente rientriamo nel nostro mondo non prima di aver vissuto prospettive diverse della valle, scorci delle terrazze coltivate intensamente che si alternano ai tetti di Amalfi e sullo sfondo la linea azzurra con tonalità diverse di mare e cielo. Poi i colori e la confusione calda di Amalfi, poi la giostra o se volete il giro sulle “montagne russe” della costiera, e poi Positano. La doccia e una bella cena in riva al mare. Il giorno successivo lo dedicheremo al turismo, inforcato uno scooter a noleggio ci viviamo la costiera da vicino, Minori, Maiori, Amalfi, Ravello e Furore, scorci da togliere il fiato, il mare ovunque, ovunque la montagna a corteggiarlo. E mare e Montagna saranno nostri amici anche il terzo giorno, quando finalmente il sentiero degli Dei da tanto tempo sognato e agognato diventerà realtà.


IL SENTIERO DEGLI DEI


Il nome evocativo di questo sentiero è già un programma, sul Pollino, per chi lo conosce, è il giardino ad aver deliziato gli Dei, da queste parti si deliziavano scorrazzando tra cielo e male su una lunga traversata a mezzacosta. Per prima cosa da Positano dove ci trovavamo toccava raggiungere Amalfi e da questo Agerola località di partenza. Raggiungere Amalfi è cosa semplice, a parte le attese, gli ingorghi, il viaggio in navetta in bilico sugli strapiombi e tutte le folkloristiche peripezie che tocca vivere; è raggiungere Agerola che è cosa davvero avventurosa. Tre orari consultati, via web, cartacei e appesi alle fermate, ognuno dava informazioni diverse, raggiunta Amalfi verso le dieci e trenta della mattina abbiamo dovuto aspettare la navetta per Agerola ben due ore. L’abbiamo presa nell’unico modo possibile, con filosofia campana, ingannando il tempo, un giretto per i vicoli di Amalfi, un po' a crogiolarsi al sole e verso mezzogiorno, quando la fame cominciava a farsi sentire, mi sono abbandonato allo street food amalfitano, mi son fatto fuori un bel “cuoppo”, un cartoccetto di frittura mediterranea ed il tempo si è messo a passare più velocemente. Zavorrato benino col fritto abbiamo preso la navetta per Agerola non temendo affatto le curve che ci hanno tenuto compagnia per quasi un’ora ancora. Agerola è una località, Bomerano è il paese dove nasce il sentiero, precisamente accanto al bar che si apre sulla piazza principale, non mancano i cartelli; per pochi metri tra le case del paese, presto si perde nella campagna. Bomerano è al limite dell’altopiano che sormonta i monti Lattari, si trova a circa 550 mt., gli spazi sono ampi e pianeggianti, come si esce dal paese si intuisce subito la posizione di confine; si scende all’interno di un fosso regimentato, si supera l’imbocco di un sentiero che scende ripido verso la costa e risalendo si prende ancora un breve tratto di strada asfaltata. Questa finisce esattamente all’imbocco del sentiero degli Dei, dove è anche possibile parcheggiare l’auto per chi ha intenzione di farselo anche al il ritorno. Descrivere ora questo sentiero nel dettaglio è cosa inutile oltre quasi superflua, semplicemente è da vivere; si tratta di 4,7 chilometri di una via polverosa, per brevi tratti rocciosa, che con pochi sbalzi di livello scorre verso Positano; sfila sul mare verso Nord-Ovest, il profilo della penisola sorrentina sempre davanti con ogni possibilità di scorcio, in fondo quello di Capri si confonde con la terraferma. Rubato ai pendii, per alcuni tratti anche ripidi, veniva usato a bordo di muli per lavorare i terrazzamenti e coltivare la terra, oppure per migrare il bestiame; ora vigne, ora orti, ora boscaglia, ogni tanto case rurali riadattate ad abitazione silenziose con vista panoramica, il sentiero serpeggia in un ambiente quasi unico e surreale. A circa un chilometro e mezzo da Bomerano il sentiero si divide in due, un tratto basso l’altro scorre più alto di un centinaio di metri, abbiamo percorso il secondo, in vista di Positano si ricongiungeranno. Sono simili, stessi panorami, credo quello in alto più interessante per le prospettive che offre sul primo e per l’ampiezza maggiore dell’orizzonte. Nessuno dei due riporta grosse difficoltà, qualche balcone esposto lungo il percorso, oppure falesie al limite del vuoto non sono mai pericolose per la presenza di ampi spazi, se si dovesse percorrere con bambini o animali però è bene fare attenzione e sapere che queste esposizioni esistono. Su un tratto roccioso esposto, proprio a superare una torre sporgente incontriamo un gregge di capre, brucano la dura vegetazione in bilico nel vuoto, incuranti del vuoto, non possiamo far altro che invidiarle. Quando superiamo la torre e aggiriamo lo spigolo che scende ripido, quando il sole già sulla via del tramonto accende i toni dei colori compare d’incanto Positano arrampicato sulle rocce; anche il blu del mare si attenua, la luce ora lo sembra sfiorare, un presepio colorato, un incantesimo, impossibile non fermarsi un momento per cercare di trattenere questa immagine così bella. Scivolando verso Positano i pendii si fanno più ripidi, le terrazze coltivate spariscono, il bosco prende il sopravvento, si aggira una profonda gola quasi immersi nel bosco e al buio perché il sole qui non ci arriva più. Steccati di protezione in alcuni tratti proteggono da esposizioni repentine, si ritorna al sole proprio quando tra gli alberi si intuiscono, ancora lontani, i primi tetti di Positano, anzi di Nocelle, frazione montana di Positano. Il sole ancora più basso propone ora scorci quasi in controluce e bui, i profili sospesi sul mare sempre più scuri, il mare e la montagna si confondono in un abbraccio unico come è giusto che sia, in questo ambiente nessuno dei due riesce mai a trionfare sull’altro. Il sentiero termina a Nocelle, prima di entrare nel paese un simpatico ristoro appollaiato su un terrazzo esposto nel vuoto obbliga alla sosta, il panorama è meraviglioso, sul mare, sui tetti bianchi di Praiano, l’ennesima granita all’arancia per me, per Marina l’ennesima limonata; la raggiunge proprio in quel momento una telefonata che gli annuncia buone cose per il lavoro, insomma il momento perfetto che chiude il sentiero degli Dei tanto sognato. Il sentiero termina in questa piccola frazione ma Nocelle si trova ancora a 450 mt. sopra il mare, per scendere le opzioni sono due, o si raggiunge la piazzetta del paese e si attende la navetta per Positano o si raggiungere il capoluogo, anzi la sua estrema periferia, attraverso l’interminabile scalinata composta dalla bellezza di 1700 gradini. Ovviamente per non farci mancare nulla scegliamo la seconda opzione, tra ville ed orti e scorci sontuosi, tra rampe ripide e altre meno, tornanti continui e infiniti ci abbassiamo lentamente, le ginocchia protestano e scricchiolano ma anche questo momento è tutto da vivere, oggi sicuramente lo rifarei. Da ammirare inoltre una buona dose di coraggiosi che la percorrevano in senso contrario al nostro. Quando arriviamo alla strada ogni velleità si spegne, Positano non è esattamente dietro l’angolo, ci toccano circa tre chilometri di tortuose curve e di traffico, anche questa una esperienza che sulla costiera amalfitana vale la pena vivere. Quando arriviamo il sole è dietro le montagne, l’ombra è più di una semplice sensazione e comincia a fare freddo; una doccia e l’idea di una vera cena ci tiene compagnia e ci da entusiasmo. Grandiosa escursione, fuori da ogni schema e lontana dalle velleità alpinistiche; semplicemente unica, entusiasmante, da fare e assolutamente non perdere.